La verità ultima del vivere: l’amore
Una scena potente, drammatica, quel “giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l'amore. Il Vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello? Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l'avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli. Evidenzio tre parole del brano: 1). Dio è colui che tende la mano, perché gli manca qualcosa. Rivelazione che rovescia ogni precedente idea sul divino. C'è da innamorarsi di questo Dio innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo. 2). L'argomento del giudizio non è il male, ma il bene. Misura dell'uomo e di Dio, misura ultima della storia non è il negativo o l'ombra, ma il positivo e la luce. Le bilance di Dio non sono tarate sui peccati, ma sulla bontà; non pesano tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa. Parola di Vangelo: verità dell'uomo non sono le sue de- bolezze, ma la bellezza del cuore. Giudizio divinamente truccato, sulle cui bilance un po' di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo. 3). Alla sera della vita saremo giudicati solo sull'amore (San Giovanni della Croce), non su devozioni o riti religiosi, ma sul laico addossarci il dolore dell'uomo. Il Signore non guarderà a me, ma attorno a me, a quelli di cui mi son preso cura. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, e non partecipo all'esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi impegno, posso anche essere privo di peccati ma vivo in una situazione di peccato» (G. Vannucci). La fede non si riduce però a compiere buone azioni, deve restare scandalosa: il povero come Dio! Un Dio innamorato che ripete su ogni figlio il canto esultante di Adamo: «Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo». Poi ci sono quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati, semplicemente non hanno fatto nulla. Indifferenti, lontani, cuori assenti che non sanno né piangere né abbracciare, vivi e già morti (C. Péguy).
Gesù ci invita a entrare nella gioia
C'è un signore orientale, ricchissimo e generoso, che parte in viaggio e affida il suo patrimonio ai servi. Non cerca un consulente finanziario, chiama i suoi di casa, si affida alle loro capacità, crede in loro, ha fede e un progetto, quello di farli salire di condizione: da dipendenti a con-partecipi, da servi a figli. Con due ci riesce. Con il terzo non ce la fa. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia: Bene, servo buono! Bene! Eco del grido gioioso della Genesi, quando per sei volte, «vide ciò che aveva fatto ed esclamò: che bello!». E la settima volta: ma è bellissimo! I servi vanno per restituire, e Dio rilancia: ti darò potere su molto, entra nella gioia del tuo signore. In una dimensione nuova, quella di chi partecipa alla energia della creazione, e là dove è passato rimane dietro di lui più vita. L'ho sentito anch'io questo invito: «entra nella gioia». Quando, scrivendo o predicando il Vangelo, il lampeggiare di uno stupore improvviso, di un brivido nell'anima, l'esperienza di essere incantato io per primo da una grande bellezza, mi faceva star bene, io per primo.Oppure quando ho potuto consegnare a qualcuno una boccata d'ossigeno o di pane, ho sentito che ero io a respirare meglio, più libero, più a fondo. «Sii egoista, fai del bene! Lo farai prima di tutto a te stesso». E poi è il turno del terzo servo, quello che ha paura. La prima di tutte le paure, la madre di tutte, è la paura di Dio: so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso...ho avuto paura. Questa immagine distorta di un Dio duro, che ti sta addosso, il fiato sul collo, è lontanissima dal Dio di Gesù. E sotto l'effetto di questa immagine sbagliata, la vita diventa sbagliata, il luogo di un esame temuto, di una mietitura che incombe. Se nutri quell'idolo, se credi a un Dio padrone duro e spietato, allora lo incontrerai come maschera delle tue paure, come fantasma maligno; e il dono diventa, come per il terzo servo, un incubo: ecco ciò che è tuo, prendilo. Se credi a un Signore che offre tutto e non chiede indietro nulla, che crede in noi e ci affida tesori, follemente generoso, che intorno a sé non vuole dipendenti e rendiconti, ma figli, allora entri nella gioia di moltiplicare con lui la vita. Il Vangelo è pieno di una teologia semplice, la teologia del seme, del lievito, del granello di senape, del bocciolo, di talenti da far fruttare, di inizi piccoli e potenti. A noi tocca il lavoro paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli. Siamo tutti sacerdoti di quella che è la liturgia primordiale del mondo. Dio è la primavera del cosmo, a noi di esserne l'estate profumata di frutti.
Qualcuno ci attende in fondo ad ogni notte
Nessuno dei protagonisti della parabola fa una bella figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte non hanno pensato a un po' d'olio di riserva; le sagge si rifiutano di aiutare le compagne; il padrone chiude la porta di casa, cosa che non si faceva, perché tutto il paese partecipava alle nozze, entrava e usciva dalla casa in festa. Eppure è bello questo racconto, mi piace l'affermazione che il Regno di Dio è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po' di luce. Di quasi niente. Per andare incontro a qualcuno. Il Regno dei cieli, il mondo come Dio lo sogna, è simile a chi va incontro, è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l'attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, «uno sposo», un po' d'amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede. Ma qui cominciano i problemi. Tutte si addormentarono, le stolte e le sagge. Perché la fatica del vivere, la fatica di bucare le notti, ci ha portato tutti a momenti di abbandono, a sonnolenza, forse a mollare. La parabola allora ci conforta: verrà sempre una voce a risvegliarci, Dio è un risvegliatore di vite. Non importa se ti addormenti, se sei stanco, se l'attesa è lunga e la fede sembra appassire. Verrà una voce, verrà nel colmo della notte, proprio quando ti parrà di non farcela più, e allora «non temere, perché sarà Lui a varcare l'abisso» (D.M. Turoldo). Il punto di svolta del racconto non è la veglia mancata (si addormentano tutte, tutte ugualmente stanche) ma l'olio delle lampade che finisce. Alla fine la para- bola è tutta in questa alternativa: una vita spenta, una vita accesa. Tuttavia lo scatto in alto, l'inatteso del racconto è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare alla vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia capacità di resistere al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà, a ridestare la vita da tutti gli sconforti, a consolarmi dicendo che di me non è stanca, a disegnare un mondo colmo di incontri e di luci. A me serve un piccolo vaso d'olio. Il Vangelo non dice in che cosa consista quell'olio misterioso. Forse è quell'ansia, quel coraggio che mi porta fuori, incontro agli altri, anche se è notte. La voglia di varcare distanze, rompere solitudini, inventare comunioni. E di credere alla festa: perché dal momento che mi mette in vita Dio mi invita alle nozze con lui. Il Regno è un olio di festa: credere che in fondo ad ogni notte ti attende un abbraccio.
Quel Dio che ha scelto come beati gli ultimi
Beato l’uomo, prima parola del primo salmo. Cui fa eco la prima parola del primo discorso di Gesù, sulla montagna: Beati i poveri. Cosa significa beato, questo termine un po’ desueto e scolorito? La mente corre subito a sinonimi quali: felice, contento, fortunato. Ma il termine non può essere compresso
solo nel mondo delle emozioni, impoverito a uno stato d’animo aleatorio. Indica invece uno stato di vita, consolida la certezza più umana che abbiamo e che tutti ci compone in unità: l’aspirazione alla gioia, all’amore, alla vita. Beati, ed è come dire: in piedi, in cammino, avanti, voi poveri (A. Chouraqui), Dio cammina con voi; su, a schiena dritta, non arrendetevi, voi non violenti, siete il futuro della terra; coraggio, alzati e getta via il mantello del lutto, tu che piangi; non lasciarti cadere le braccia, tu che produci amore. Profondità alla quale non arriverò mai, Vangelo che continua a stupirmi e a sfuggirmi, eppure da salvare a tutti i costi; nostalgia prepotente di un mondo fatto di pace e sincerità, di giustizia e cuori puri, un tutt’altro modo di essere vivi. Le beatitudini non sono un precetto in più o un nuovo comandamento, ma la bella notizia che Dio regala gioia a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno, il Padre si farà carico della sua felicità.
Vostro è il regno: il Regno è dei poveri perché il Re si è fatto povero. La terra è dei miti perché il potente si è fatto mite e umile. A questa terra, imbevuta di sangue (il sangue di tuo fratello grida a me dal suolo), pianeta di tombe, chi regala futuro? Chi è più armato, più forte, più spietato? O non invece il tessitore di pace, il non violento, il misericordioso, chi si prende cura? La seconda dice: Beati quelli che sono nel pianto. La beatitudine più paradossale: lacrime e felicità mescolate assieme, ma non perché Dio ami il dolore, ma nel dolore egli è con te. Un angelo misterioso annuncia a chiunque piange: il Signore è con te. Dio è con te, nel riflesso più profondo delle tue lacrime per moltiplicare il coraggio; in ogni tempesta è al tuo fianco, forza della tua forza, argine alle tue paure. Come per i discepoli colti di notte dalla burra- sca sul lago, Lui è lì nella forza dei rematori che non si arrendono, nelle braccia salde sulla barra del ti- mone, negli occhi della vedetta che cercano l’aurora. Gesù annuncia un Dio che non è imparziale, ha le mani impigliate nel folto della vita, ha un debole per i deboli, incomincia dagli ultimi della fila, dai sotter- ranei della storia, ha scelto gli scarti del mondo per creare con loro una storia che non avanzi per le vittorie dei più forti, ma per semine di giustizia e per raccolti di pace.
Fai agli altri quello che desideri per te stesso
Il comandamento grande si riassume in un verbo: amerai. Un verbo al futuro, a indicare una azione mai conclusa, che durerà quanto il tempo. Amare non è un dovere, ma una necessità per vivere. E vivere sempre. Con queste parole possiamo gettare uno sguardo sulla fede ultima di Gesù: lui crede nell'amore, si fida dell'amore, fonda il mondo su di esso. «La legge tutta è preceduta da un “sei amato” e seguita da un “amerai”. “Sei amato” è la fondazione della legge; “amerai”, il suo compimento. Chiunque astrae la legge da questo fondamento amerà il contrario della vita» (Paul Beauchamp). Amerà la morte. Cosa devo fare per essere veramente vivo? Tu amerai. Con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la
mente. Appello alla totalità, per noi inarrivabile. Solo Dio ama con tutto il cuore, lui che è l'amore stesso. La creatura umana ama di tanto in tanto, come a tentoni, e con cento contraddizioni. La Bibbia lo sa bene, infatti il testo ebraico direbbe alla lettera così: amerai Dio con tutti i tuoi cuori. Ama Dio con i tuoi due cuori, con il cuore che crede, e anche con il cuore che dubita. Amalo nei giorni della luce, e come puoi, come riesci, anche nell'ora in cui si fa buio dentro di te. Sapendo che l'amore conosce anche la sofferenza. E chi più ama, si prepari a soffrire di più (Sant'Agostino). Alla domanda su quale sia il comandamento grande, Gesù risponde offrendo tre oggetti d'amore: Dio, il prossimo, e te stesso. L'amore non veglia solo sulle frontiere dell'eterno, ma presidia anche la soglia di una civiltà dell'amore. È pieno di creature, lì. E lì sta il discepolo. E il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile all'amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Il prossimo ha volto e voce, bisogno di amare e di essere amato, simili a quelli di Dio. Terzo oggetto d'amore: amalo come (ami) te stesso. Àmati come prodigio della mano di Dio, vita della sua Vita, moneta d'oro coniata da lui. Ama per te libertà e giustizia, dignità e una carezza, questo amerai anche per il tuo prossimo. Prodigiosa contrazione di tutta la legge: quello che desideri per te, fallo anche agli altri. Perché se non ami la bellezza della tua vita, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e accumulare, fuggire o violare, senza gioia né stupore, senza bellezza del vivere. E per non perderci nel romanticismo, la Bibbia si fa concreta e provocatoria: amerai la triade sacra: la vedova, l'orfano e lo straniero, l'ultimo arrivato, il dolente, il fragile. E se presti denaro non esigerai interesse. E al tramonto restituirai il mantello al povero: è la sua pelle, la sua vita (Esodo 22,20-26). Al di fuori di questo, costruiremo e ameremo il contrario della vita.
ORARIO CATECHISMO 2020 - 2021 Poggiana
Ricordiamo alle famiglie di accompagnare i ragazzi già dal primo incontro di catechismo muniti di tutti i moduli per l’iscrizione, il contributo di € 10 e il Kit personale anti contagio (mascherina, gel igienizzante, fazzoletti di carta). Senza i moduli firmati non possiamo accettare i ragazzi a catechismo. Ricordiamo inoltre ai genitori che a loro non è consentito entrare nella struttura dove si svolge il catechismo.
Grazie per la collaborazione e che Dio ci accompagni con la sua benedizione.
1a elementare | sabato | 14.30 |
2a elementare | giovedì | 16.30 |
3a elementare | mercoledì | 16.30 |
4a elementare | sabato | 14.15 |
5a elementare | sabato | 14.30 |
1a media | lunedì | 15.00 |
2a media | venerdì | 16.30 |
3a media | lunedì | 15.00 |
ORARIO CATECHISMO 2020 - 202 Vallà
Ricordiamo alle famiglie di accompagnare i ragazzi già dal primo incontro di catechismo muniti di tutti i moduli per l’iscrizione, il contributo di € 10 e il Kit personale anti contagio (mascherina, gel igienizzante, fazzoletti di carta). Senza i moduli firmati non possiamo accettare i ragazzi a catechismo. Ricordiamo inoltre ai genitori che a loro non è consentito entrare nella struttura dove si svolge il catechismo.
Grazie per la collaborazione e che Dio ci accompagni con la sua benedizione.
1a elementare | domenica | 9.00 |
2a elementare | domenica | 9.00 |
3a elementare | giovedì | 15.30 |
sabato | 10.00 | |
4a elementare | mercoledì | 16.00 |
5a elementare | giovedì | 16.30 |
venerdì | 16.30 | |
1a media | lunedì | 16.00 |
mercoledì | 17.00 | |
2a media | mercoled' | 16.15 |
3a media | lunedì | 15.45 |
martedì | 16.15 |
Nessuno può avere potere sull'uomo. È solo di Dio
Vengono da Gesù e gli pongono una domanda cattiva, di quelle che scatenano odi, che creano nemici: è lecito o no pagare le tasse a Roma? Sono partigiani di Erode, il mezzosangue idumeo re fantoccio di Roma; insieme ci sono i farisei, i puri che sognano una teocrazia sotto la
legge di Mosè. Non si sopportano tra loro, ma oggi si alleano contro un nemico comune: il giovane rabbi di cui temono le idee e di cui vogliono stroncare la carriera di predicatore. La trappola è ben congegnata: scegli: o con noi o contro di noi! Pagare o no le tasse all'impero? Gesù risponde con un doppio cambio
di prospettiva. Il primo: sostituisce il verbo pagare con il verbo restituire: restituite, rendete a Cesare ciò che è di Cesare. Restituite, un imperativo forte, che coinvolge ben più di qualche moneta, che deve dare forma all'intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto. Noi tutti siamo impigliati in un tessuto di doni. Viviamo del dono di una ospitalità cosmica. Il debito di esistere, il debito grande di vivere si paga solo restituendo molto alla vita. Rendete a Cesare. Ma chi è Cesare? Lo Stato, il potere politico, con il suo pantheon di facce molto note e poco amate? No, Cesare indica molto più di questo. Oso pen- sare che il vero nome di Cesare oggi, che la mia controparte sia non solo la società, ma il bene comune: terra e poveri, aria e acqua, clima e creature, l'unica arca di Noè su cui tutti siamo imbarcati, e non ce n'è un'altra di riserva. Il più serio problema del pianeta. Hai ricevuto molto, ora non depredare, non av- velenare, non mutilare madre terra, ma prenditene cura a tua volta. Il secondo cambio di paradigma: Cesare non è Dio. Gesù toglie a Cesare la pretesa divina. Restituite a Dio quello che è di Dio: di Dio è l'uo- mo, fatto di poco inferiore agli angeli (Salmo 8) e al tempo stesso poco più che un alito di vento (Salmo 44), uno stoppino fumante, ma che tu non spegnerai. Sulla mia mano porto inciso: io appartengo al mio Signore (Isaia 44,5). Sono parole che giungono come un decreto di libertà: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tutti, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire, sei il custode della libertà (Eb 3,6). Su ogni potere umano si stende il comando: non mettere le mani sull'uomo.Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. L'uomo è il limite invalicabile: non ti appartiene, non violarlo, non umiliarlo, non abusarlo, ha il Creatore nel sangue e nel re- spiro. Cosa restituirò a Dio? Il respirare con lui, la triplice cura: di me, del mondo e degli altri, e lo stupo- re che tutto è «un dono di luce, avvolto in bende di luce» (Rab'ia).
L’abito nuziale? Veste il cuore non la pelle
Festa grande, in città: si sposa il figlio del re. Succede però che gli invitati, persone serie, piedi per terra, cominciano ad accampare delle scuse: hanno degli impegni, degli affari da concludere, non hanno tempo per cose di poco conto: un banchetto, feste, affetti, volti. L'idolo della quantità ha chiesto che gli fosse sacrificata la qualità della vita. Perché il succo della parabola è questo: Dio è come uno che organizza una festa, la migliore delle feste, e ti invita, e mette sul piatto le condizioni per una vita buona, bella e gioiosa. Tutto il Vangelo è l'affermazione che la vita è e non può che essere una continua ricerca della felicità, e Gesù ne possiede la chiave. Ma nessuno viene alla festa, la sala è vuota. La reazione del re è dura, ma anche splendida: invia i servitori a certificare il fallimento dei primi, e poi a cercare per i crocicchi, dietro le siepi, nelle periferie, uomini e donne di nessuna importanza, basta che abbiano fame di vita e di festa. Se i cuori e le case degli invitati si chiudono, il Signore apre incontri altrove. Come ha dato la sua vigna ad altri viticoltori, nella parabola di domenica scorsa, così darà il banchetto ad altri affamati. I servi partono con un ordine illogico e favoloso: tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti o a formalità. Non chiede niente, dona tutto. È bello questo Dio che, quando è rifiutato, anziché abbassare le attese, le innalza: chiamate tutti! Lui apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano. E dai molti invitati passa a tutti invitati, dalle persone importanti della città passa agli ultimi della fila: fateli entrare tutti, cattivi e buoni. Addirittura prima i cattivi e poi i buoni... Sala piena, scandalo per il mio cuore fariseo. E quando scende nella calca festosa della sala, è l'immagine di un Dio che entra nel cuore della vita. Noi lo pensiamo lontano, separato, assiso sul suo trono di giudice, e invece è dentro questa sala del mondo, qui con noi, come uno cui sta a cuore la mia gioia, e se ne prende cura. Ed ecco il secondo snodo del racconto: un invitato non indossa l'abito delle nozze. E lo fa buttare fuori. Che pretesa! Ha invitato mendicanti e straccioni e si meraviglia che uno sia messo male. Ma l'abito nuziale non è quello indossato sulla pelle, è un vestito nel cuore. È un cuore non spento, che si accende, che sogna la festa della vita, che desidera credere, perché credere è una festa. Anch'io sono quello che sono, l'abito un po' rattoppato, un po' consumato o scucito. Ma il cuore, quello no: ho fame e sete, e desiderio che tornino presto la gioia e la festa nelle nostre case. Sono un mendicante di cielo.
Giubilei di matrimonio
La festa dei giubilei di matrimonio sarà a Poggiana domenica 18 ottobre e a Vallà domenica 25 ottobre alla Messa delle ore 10.30. A motivo della legge sulla privacy non è possibile avere l’elenco dei festeggiati da parte dell’anagrafe comunale, quindi non arriveranno a casa gli inviti. Chi desidera partecipare alla celebrazione con il rinnovo delle promesse è pregato di dare la propria adesione per Vallà a Piccin Antonio e Valeria 3336514600 o Rigon Lino 3895631078 e per Poggiana Bottaro Emmanuele 3477961819. Giovedì 15 ottobre alle ore 20.30 presso la chiesa di Vallà veglia di preghiera con possibilità delle confessioni per tutti gli sposi che festeggiano l’anniversario.
Nella vigna del Signore il bene revoca il male
Gesù amava le vigne: le ha raccontate, per sei volte, come parabole del regno; vi ha letto un simbolo forte e dolce (io sono la vite e voi i tralci, Gv 15,5); al Padre ha dato nome e figura di vignaiolo (io sono la vite vera e il Padre è l'agricoltore, Gv 15,1). Ma oggi il Vangelo racconta di una vendemmia di sangue. Una parabola dura, che vorremmo non aver ascoltato, cupa, con personaggi cattivi, feroci quasi, e questo perché la realtà attorno a Gesù si è fatta cattiva: sta parlando a chi prepara la sua morte. L'orizzonte di amarezza e violenza verso cui cammina la parabola è già evidente nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: Costui è l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l'eredità! Ma quale manuale di diritto civile hanno mai letto? È chiaro che non è il diritto ad ispirarli, ma quella forza primordiale e brutale, originaria e stupida, che in noi sussurra: devi sopraffare l'altro, occupa il suo posto, e allora avrai il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Quanto è diverso Dio, che ricomincia, dopo ogni tradimento, a mandare ancora servitori, altri profeti, infine suo Figlio; che non è mai a corto di sorprese e di speranza: che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto? Io, noi siamo vigna e delusione di Dio, e lui, contadino appassionato, continua a fare per me ciò che nessuno farà mai. Fino alla svolta del racconto: alla fine, che cosa farà il signore della vigna? La soluzione proposta dai capi del popolo è tragica: uccidere ancora, far fuori i vignaioli disonesti, sistemare le cose mettendo in campo un di più di violenza. Vendetta, morte, il fuoco dal cielo. Ma non succederà così. Questo non è il volto, ma la maschera di Dio. Infatti Gesù introduce la novità propria del Vangelo: la storia di amore e tradimenti tra uomo e Dio non si concluderà con un fallimento, ma con una vigna viva e una ripartenza fiduciosa: Perciò io vi dico: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Trovo in queste parole un grande conforto: sento che i miei dubbi, i miei peccati, le mie sterilità non bloccano la storia di Dio; quel suo sogno di buon vino comunque avanza, niente lo arresta. La vigna darà il suo frutto, perché c'è ancora chi saprà difenderla e farla fruttificare. Ci sono, stanno sorgendo, nascono dovunque, e lui sa vederli, vignaioli bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che servono l'umanità anziché servirsene. I custodi della fecondità. Nella vigna di Dio è il bene che revoca il male. La vendemmia di domani sarà più importante del tradimento di ieri. I grappoli gonfi di succo e di sole riscatteranno anche la sterilità di questi nostri inverni in ansia di luce.
Consacrazione all'angelo custode
Santo angelo custode, sin dall’inizio della mia vita mi sei stato dato come protettore e compagno. Qui, al cospetto del mio Signore e mio Dio, della mia celeste Madre Maria e di tutti gli angeli e i santi io (nome) povero peccatore mi voglio consacrare a te. Prometto di essere sempre fedele e ubbidiente a Dio e alla santa Madre Chiesa. Prometto di essere sempre devoto a Maria, mia Signora, Regina e Madre, e di prenderla a modello della mia vita. Prometto di essere devoto anche a te, mio santo protettore e di propagare secondo le mie forze la devozione agli angeli santi che ci viene concessa in questi giorni quale presidio ed ausilio nella lotta spirituale per la conquista del Regno di Dio. Ti prego, angelo santo, di concedermi tutta la forza dell’amore divino affinché ne venga infiammato, e tutta la forza della fede affinché non cada mai più in errore. Fa’ che la tua mano mi difenda dal nemico. Ti chiedo la grazia dell’umiltà di Maria affinché sfugga a tutti i pericoli e, guidato da te, raggiunga in cielo l’ingresso della Casa del Padre. Amen.
Malgrado errori e ritardi Dio crede sempre in noi
Nei due figli, che dicono e subito si contraddicono, vedo raffigurato il mio cuore diviso, le contraddizioni che Paolo lamenta: non mi capisco più, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7, 15.19), che Goethe riconosce: «ho in me, ah, due anime». A partire da qui, la parabola suggerisce la sua strada per la vita buona: il viaggio verso il cuore unificato. Invocato dal Salmo 86,11: Signore, tieni unito il mio cuore; indicato dalla Sapienza 1,1 come primo passo sulla via della saggezza: cercate il Signore con cuore semplice, un cuore non doppio, che non ha secondi fini. Dono da chiedere sempre: Signore, unifica il mio cuore; che io non abbia in me due cuori, in lotta tra loro, due desideri in guerra. Se agisci così, assicura Ezechiele nella prima lettura, fai vivere te stesso, sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Con ogni cura vigila il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita (Prov 4,23). Il primo figlio si pentì e andò a lavorare. Di che cosa si pente? Di aver detto di no al padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l'obbedienza.
Non è più la vigna di suo padre è la nostra vigna. Il padre non è più il padrone cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore che lo chiama a collaborare per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. Adesso il suo cuore è unificato: per impo- sizione nessuno potrà mai lavorare bene o amare bene. Al centro, la domanda di Gesù: chi ha compiuto la volontà del padre? In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, alleati con lui per la maturazione del mondo, per la fecondità della terra. La morale evangelica non è quella dell'obbedienza, ma quella della fecondità, dei frutti buoni, dei grappoli gonfi di mosto: volontà del Padre è che voi por- tiate molto frutto e il vostro frutto rimanga... A conclusione: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti. Dura frase, rivolta a noi, che a parole diciamo “sì”, che ci vantiamo credenti, ma siamo sterili di opere buone, cristiani di facciata e non di sostanza. Ma anche consolante, perché in Dio non c'è condanna, ma la promessa di una vita buona, per gli uni e per gli altri. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo, nelle prosti- tute e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire sì. Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch'io cominciare la mia conversione verso un Dio che non è dovere, ma amore e libertà. Con lui matu- reremo grappoli, dolci di terra e di sole.
Quel «dono» che mette l'uomo prima del mercato
La vigna è il campo più amato, quello in cui l'agricoltore investe più lavoro e passione, fatica e poesia. Senza poesia, infatti, anche il sorso di vino è sterile. Vigna di Dio siamo noi, sua coltivazione che non ha prezzo. Lo racconta la parabola del proprietario terriero che esce di casa all'alba, che già dalla prima luce del giorno gira per il villaggio in cerca di braccianti. E vi ritornerà per altre quattro volte, ogni due ore, fino a che c'è luce. A questo punto però qualcosa non torna: che senso ha per un imprenditore reclutare dei giornalieri quando manca un'ora soltanto al tramonto? Il tempo di arrivare alla vigna, di prendere gli ordini dal fattore, e sarà subito sera. Allora nasce il sospetto che ci sia dell'altro, che quel cercatore di braccia perdute si interessi più degli uomini, e della loro dignità, che della sua vigna, più delle persone che del profitto. Ma arriviamo al cuore della parabola, la paga. Primo gesto spiazzante: cominciare da quelli che hanno lavorato di meno. Secondo gesto illogico: pagare un'ora di lavoro quanto dodici ore. E capiamo che non è una paga, ma un regalo. Quelli che hanno portato il peso del caldo e della fatica si aspettano, giustamente, un supplemento alla paga. Come dargli torto? Ed eccoci spiazzati ancora: No, amico, non ti faccio torto. Il padrone non toglie nulla ai primi, aggiunge agli altri. Non è ingiusto, ma generoso. E crea una vertigine dentro il nostro modo mercantile di concepire la vita: mette l'uomo prima del mercato, la dignità della persona prima delle ore lavorate. E ci lancia tutti in un'avventura sconosciuta: quella di una economia solidale, economia del dono, della solidarietà, della cura dell'anello debole, perché la catena non si spezzi. L'avventura della bontà: il padrone avvolge di carità la giustizia, e la profuma. Mi commuove il Dio presentato da Gesù, un Dio che con quel denaro, che giunge insperato e benedetto a quattro quinti dei lavoratori intende immettere vita nelle vite dei più precari tra loro. La giustizia umana è dare a ciascuno il suo, quella di Dio è dare a ciascuno il meglio. Nessun imprenditore farebbe così. Ma Dio non lo è; non un imprenditore, non il contabile dei meriti, lui è il Donatore, che non sa far di conto, ma che sa saziarci di sorprese. Nessun vantaggio, allora, a essere operai della prima ora? Solo più fatica? Un vanto c'è, umile e potente, quello di aver reso più bella la vigna della storia, di aver lasciato più vita dietro di te. Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace, perché sono l'ultimo bracciante, perché so che verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto tardi.