Giubilei di matrimonio
I giubilei di matrimonio quest’anno saranno celebrati domenica 20 ottobre alle ore 10.30 a Poggiana e domenica 27 ottobre alle ore 10.30 a Vallà.
Agli interessati arriverà l’invito. Se qualche festeggiato non riceve l’invito e desidera aggiungersi lo può fare contattando il parroco.
Mons. Michele Tomasi
Mons. Michele Tomasi nuovo vescovo di Treviso ha scelto il suo stemma episcopale. Il campo dello scudo è in azzurro, a simboleggiare l'incorruttibilità del cielo e l'ascesa dell'uomo verso Dio. Al centro la croce, in oro, simbolo della Fede e richiamo al giorno della sua ordinazione episcopale, il 14 settembre, Festa dell'Esaltazione della Santa Croce. I tre monti in argento, alla base della croce, simboleggiano i tre monti menzionati nel Vangelo: il Tabor, il Golgota e il monte degli Ulivi. Ovviamente il richiamo è anche alle Dolomiti, a ricordo delle origini del Prelato. La sorgente d'acqua posta alla base della croce rappresenta l'acqua che sgorga dalla roccia (Nm 20,11) e ricorda quella che, mista a sangue, zampilla dal costato del Crocifisso. A destra rispetto alla croce appare il gonfalone di San Liberale, patrono della Diocesi di Treviso. Al lato opposto il petaso, il bordone e il pane ricordano il beato Enrico da Bolzano, patrono sia della diocesi di nascita che della diocesi di elezione di Mons. Tomasi. Il motto Gratis date è tratto dal versetto 8 del capitolo 10 del Vangelo di Matteo: "Gratuitamente avete avuto, gratuitamente date".
TRE SERE PER GIOVANI
Tre sere per i giovani della Collaborazione Riese-Altivole: capi scout, animatori giovanissimi, educatori ACR e giovani del GrESt e dell’Oratorio.
Lunedì 23/9 a Vallà (area sagra): “Il dialogo con Dio per un giovane in servizio”, sarà con noi don Paolo Slompo, direttore Ufficio Pastorale Giovanile della Diocesi di Treviso
Martedì 24/9 a Riese (Oratorio): “La necessità di una regola per un cammino cristiano”, sarà con noi Padre Gabriele Cavelli, dei Carmelitani Scalzi di Treviso.
Mercoledì 25/9 ad Altivole (locali parrocchiali): “La figura dell’educatore in un tempo in continua evoluzione”. Interverrà don Daniele Vettor, parroco di Vallà e Poggiana.
Gli incontri saranno dalle 19.30 alle 22 con cena insieme offerta dalle parrocchie. Ti chiediamo lo sforzo di partecipare a tutti gli incontri. Info don Daniele Vettor 340 5780807.
Quanta vita avremo lasciato dietro di noi?
La sorpresa: il padrone loda chi l'ha derubato. Il resto è storia di tutti i giorni e di tutti i luoghi, di furbi disonesti è pieno il mondo. Quanto devi al mio padrone? Cento? Prendi la ricevuta e scrivi cinquanta. La truffa continua, eppure sta accadendo qualcosa che cambia il colore del denaro, ne rovescia il significato: l'amministratore trasforma i beni materiali in strumento di amicizia, regala pane, olio – vita – ai debitori. Il benessere di solito chiude le case, tira su muri, inserisce allarmi, sbarra porte; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. E il padrone lo loda. Non per la disonestà, ma per il capovolgimento: il denaro messo a servizio dell'amicizia. Ci sono famiglie che riceveranno cinquanta inattesi barili d'olio, venti insperate misure di farina... e il padrone vede la loro gioia, vede porte che si spalancano, e ne è contento. È bello questo padrone, non un ricco ma un signore, per il quale le persone contano più dell'olio e del grano. Gesù condensa la parabola in un detto finale: «Fatevi degli amici con la ricchezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante. Fatevi degli amici donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c'è comandamento più umano. Affinché questi amici vi accolgano nella casa del cielo. Essi apriranno le braccia, non Dio. Come se il cielo fosse casa loro, come se fossero loro a detenere le chiavi del paradiso. Come se ogni cosa fatta sulla terra degli uomini avesse la sua prosecuzione nel cielo di Dio. Perché io, amministratore poco onesto, che ho sprecato così tanti doni di Dio, dovrei essere accolto nella casa del cielo? Perché lo sguardo di Dio cerca in me non la zizzania ma la spiga di buon grano. Perché non guarderà a me, ma attorno a me: ai poveri aiutati, ai debitori perdonati, agli amici custoditi. Perché la domanda decisiva dell'ultimo giorno non sarà: vediamo quanto pulite sono le tue mani, o se la tua vita è stata senza macchie; ma sarà dettata da un altro cuore: hai lasciato dietro di te più vita di prima? Mi piace tanto questo Signore al quale la felicità dei figli importa più della loro fedeltà; che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro cui avrò dato un po' di pane, un sorriso, una rosa. Siate fedeli nel poco. Questa fedeltà nelle piccole cose è possibile a tutti, è l'insurrezione degli onesti, a partire da se stessi, dal mio lavoro, dai miei acquisti... Chi vince davvero, qui nel gioco della vita e poi nel gioco dell'eternità? Chi ha creato relazioni buone e non ricchezze, chi ha fatto di tutto ciò che possedeva un sacramento di comunione.
Esaltazione della croce
La Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti e la Chiesa ortodossa celebrano la festività liturgica dell'Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre, anniversario del ritrovamento della vera Croce da parte di sant'Elena (14 settembre 320), madre dell'imperatore Costantino, e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (335). Secondo la tradizione, Sant'Elena avrebbe portato una parte della Croce a Roma, in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, e una parte rimase a Gerusalemme. Bottino dei persiani nel 614, fu poi riportata trionfalmente nella Città Santa. La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l'albero della vita, il talamo, il trono, l'altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo.
Ordinazione episcopale di mons. Michele Tomasi
Sabato 14 settembre alle ore 12.00 presso la Cattedrale di Bressanone ordinazione episcopale di Mons. Tomasi Michele. Siamo tutti invitati a partecipare con la preghiera e un ricordo speciale all’interno dell’eucaristia. Il sacramento dell’ordinazione episcopale verrà amministrato dal vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone Ivo Muser come consacratore principale. Consacranti L’Arcivescovo di Trento Lauro Tisi e il predecessore di mons. Tomasi alla guida della Diocesi di Treviso, mons. Gianfranco Agostino Gardin, attualmente amministratore apostolico della nostra Diocesi. Il nuovo vescovo farà il suo ingresso in diocesi domenica 6 ottobre e nel pomeriggio sarà accolto con una celebrazione eucaristica in cattedrale a Treviso in orario da definirsi. Lunedì 14 ottobre alle ore 20.30 presso il Tempio di San Nicolò si terrà l’avvio del nuovo anno pastorale insieme al nostro nuovo vescovo. L’avvio dell’anno pastorale in parrocchia è previsto per domenica 27 ottobre.
Venerdì 20 settembre alle ore 20.30 presso il Tempio di San Nicolò ci sarà la celebrazione eucaristica con Mons. Gianfranco Agostino Gardin all’interno della quale lo ringrazieremo per il suo servizio in mezzo a noi. Ricordiamo che mons. Gardin ha iniziato il suo ministero episcopale tra noi il 7 febbraio del 2010.
Se uno viene a me e non mi ama più di.....
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù non instaura una competizione di sentimenti per le sue creature, perché sa che da questa ipotetica gara di emozioni non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi, dalla fede di fiamma. Ci ricorda invece che per creare un mondo nuovo, quello che è il sogno del Padre, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari. È in gioco un nuovo modo di vivere le relazioni umane: mentre noi puntiamo a cambiare l'economia, Gesù vuole cambiare l'uomo. Lo fa puntando tutto sull'amore, e con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza degli affetti, perché la felicità di questa vita non sappiamo dove pesarla se non sul dare e sul ricevere amore. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non «ama di più». Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un «di più». Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, non una esclusione ma una aggiunta: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell'arte di amare. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me... La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare, o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui il vero dramma non è morire, ma non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell'intera storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. Terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Perché la tua vita non dipende dai tuoi beni, «un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Gesù chiede sì una rinuncia, ma a ciò che impedisce il volo. Chi lo fa, scopre che «rinunciare per Te è uguale a fiorire» (M. Marcolini).
Campo famiglie
Dal 17 al 24 agosto presso la casa Villa Letizia a Valle di Cadore si terrà il campo scuola per famiglie. Il parroco sarà presente al campo scuola per tutta la durata dell’esperienza. La comunità si impegna a sostenere le coppie partecipanti con la preghiera.
E il padrone si mette a servire noi poveri servi
Siate pronti, tenetevi pronti: un invito che sale dal profondo della vita, perché vivere è attendere. La vita è attesa: di una persona da amare, di un dolore da superare, di un figlio da abbracciare, di un mondo migliore, della luce infinita che possa illuminare le tue paure e le tue ombre. Attesa di Dio. «E verrà, se insisto\ a sperare, non visto…\Verrà,\ già viene\ il suo bisbiglio» (C. Rebora). Le cose più importanti non vanno cercate, ma attese (S. Weil). Lo stesso Dio «sitit sitiri», dicevano i Padri, Dio ha sete che abbiamo sete di lui, desidera essere desiderato, ha desiderio del nostro desiderio. Ed è quello che mostrano i servi della parabola, che fanno molto di più di ciò che era loro richiesto. Restare svegli fino all'alba, con le vesti già strette ai fianchi, con le lampade sempre accese, è un di più che ha il potere di incantare il padrone al suo arrivo. Quello dei servi è un atteggiamento non dettato né da dovere né da paura, essi attendono così intensamente qualcuno che è desiderato, come fa l'amata nel Cantico dei Cantici: «dormo, ma il mio cuore veglia» (5,2). E se tornando il padrone li troverà svegli, beati quei servi. In verità vi dico – quando Gesù usa questi termini intende risvegliare la nostra attenzione su qualcosa di importante – li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È il capovolgimento dell'idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l'impensabile: il Signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della felicità dei suoi, della loro pienezza di vita! Gesù ribadisce, perché si imprima bene, l'atteggiamento sorprendente del Signore: si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È l'immagine clamorosa, che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore; quel volto che solo lui ha rivelato e incarnato nell'ultima sera, cingendo un asciugamano, prendendo fra le sue mani i piedi dei discepoli, facendo suo il ruolo proprio dello schiavo o della donna. La fortuna dei servi della parabola, la loro beatitudine – ribadita due volte – non deriva dall'aver resistito tutta la notte, non è frutto della loro fedeltà o bravura. La fortuna nostra, di noi servi inaffidabili, consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso, che ci affida la casa, le chiavi, le persone. La fiducia del mio Signore mi conquista, mi commuove, ad essa rispondo. La nostra grazia sta nel miracolo di un Dio che ha fede nell'uomo. Io crederò in lui, perché lui crede in me. Sarà il solo Signore che io servirò perché è l'unico che si è fatto mio servitore.
Padre Nostro, la preghiera che unisce terra e cielo
Signore insegnaci a pregare. Tutto prega nel mondo: gli alberi della foresta e i gigli del campo, monti e colline, fiumi e sorgenti, i cipressi sul colle e l'infinita pazienza della luce. Pregano senza parole: «ogni creatura prega cantando l'inno della sua esistenza, cantando il salmo della sua vita» (Conf. epis. giapponese). I discepoli non domandano al maestro una preghiera o delle formule da ripetere, ne conoscevano già molte, avevano un salterio intero a fare da stella polare. Ma chiedono: insegnaci a stare davanti a Dio come stai tu, nelle tue notti di veglia, nelle tue cascate di gioia, con cuore adulto e fanciullo insieme. «Pregare è riattaccare la terra al cielo» (M. Zundel): insegnaci a riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla sorgente. Ed egli disse loro: quando pregate dite "padre". Tutte le preghiere di Gesù che i Vangeli ci hanno tramandato iniziano con questo nome. È il nome della sorgente, parola degli inizi e dell'infanzia, il nome della vita. Pregare è dare del tu a Dio, chiamandolo "padre", dicendogli "papà", nella lingua dei bambini e non in quella dei rabbini, nel dialetto del cuore e non in quello degli scribi. È un Dio che sa di abbracci e di casa; un Dio affettuoso, vicino, caldo, da cui ricevere le poche cose indispensabili per vivere bene. Santificato sia il tuo nome. Il tuo nome è "amore". Che l'amore sia santificato sulla terra, da tutti, in tutto il mondo. Che l'amore santifichi la terra, trasformi e trasfiguri questa storia di idoli feroci o indifferenti. Il tuo regno venga. Il tuo, quello dove i poveri sono principi e i bambini entrano per primi. E sia più bello di tutti i sogni, più intenso di tutte le lacrime di chi visse e morì nella notte per raggiungerlo. Continua ogni giorno a donarci il pane nostro quotidiano. Siamo qui, insieme, tutti quotidianamente dipendenti dal cielo. Donaci un pane che sia "nostro" e non solo "mio", pane condiviso, perché se uno è sazio e uno muore di fame, quello non è il tuo pane. E se il pane fragrante, che ci attende al centro della tavola, è troppo per noi, donaci buon seme per la nostra terra; e se un pane già pronto non è cosa da figli adulti, fornisci lievito buono per la dura pasta dei giorni. E togli da noi i nostri peccati. Gettali via, lontano dal cuore. Abbraccia la nostra fragilità e noi, come te, abbracceremo l'imperfezione e la fragilità di tutti. Non abbandonarci alla tentazione. Non lasciarci soli a salmodiare le nostre paure. Ma prendici per mano, e tiraci fuori da tutto ciò che fa male, da tutto ciò che pesa sul cuore e lo invecchia e lo stordisce. Padre che ami, mostraci che amare è difendere ogni vita dalla morte, da ogni tipo di morte.
Cena in piazza San Rocco a Vallà
Il 16 di agosto presso la piazza Francesco Maria Preti dietro la chiesa si terrà la “Cena in Piazza”. · Alle ore 19.00 Santa Messa presso la chiesa parrocchiale di Vallà in onore a San Rocco e a seguire processione verso il capitello del cimitero con benedizione e preghiera per i defunti. · Alle ore 20.00 cena insieme e a seguire presso il parco di Villa Cecconi “Giochi antichi e sempre nuovi” per ragazzi e famiglie. Vi aspettiamo numerosi. La cena sarà composta di antipasto (prosciutto, melone, sfoglia salata e verdure); piatto unico di spiedo e patate al forno; dolce e frutta; bevande. Il tutto con un contributo di € 15. Per prenotare la cena entro e non oltre l’ 11 agosto rivolgersi a: · Bar del NOI · da Rigon Lino 3895631078 · da Zatta Renata 3334477466. In caso di maltempo la cena si terrà presso le strutture della Sagra.
Per il Signore ogni uomo viene prima delle sue idee
È la svolta decisiva del Vangelo di Luca. Il volto trasfigurato sul Tabor, il volto bello diventa il volto forte di Gesù, in cammino verso Gerusalemme. «E indurì il suo volto» è scritto letteralmente, lo rese forte, deciso, risoluto. Con il volto bello del Tabor termina la catechesi dell'ascolto: “ascoltate Lui” aveva detto la voce dalla nube, con il volto in cammino inizia la catechesi della sequela: “tu, seguimi”. E per dieci capitoli Luca racconterà il grande viaggio di Gesù verso la Croce. Il primo tratto del volto in cammino lo delinea dietro la storia di un villaggio di Samaria che rifiuta di accoglierlo. Allora Giacomo e Giovanni, i migliori, i più vicini, scelti a vedere il volto bello del Tabor: «Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li bruci tutti?» C'è qui in gioco qualcosa di molto importante. Gesù spalanca le menti dei suoi amici: mostra che non ha nulla da spartire con chi invoca fuoco e fiamme sugli altri, fossero pure eretici o nemici, che Dio non si vendica mai. È l'icona della libertà, difende perfino quella di chi non la pensa come lui. Difende quel villaggio per difenderci tutti. Per lui l'uomo viene prima della sua fede, l'uomo conta più delle sue idee. È l'uomo, e guai se ci fosse un aggettivo: samaritano o giudeo, giusto o ingiusto; il suo obiettivo è l'uomo, ogni uomo (Turoldo). «Andiamo in un altro villaggio!». Ha il mondo davanti, Lui pellegrino senza frontiere, un mondo di incontri; alla svolta di ogni sentiero di Samaria c'è sempre una creatura da ascoltare, una casa cui augurare pace; ancora un cieco da guarire, un altro peccatore da perdonare, un cuore da fasciare, un povero cui annunciare che è il principe del Regno di Dio. Il volto in cammino fa trasparire la sua fiducia totale, indomabile nella creatura umana; se non qui, appena oltre, un cuore è pronto per il sogno di Dio. Nella seconda parte del vangelo entrano in scena tre personaggi che ci rappresentano tutti. Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo. Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dall'istituzione, esposta. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo. Chi ha messo mano all'aratro… Un aratore è ciascun discepolo, chiamato a dissodare una minima porzione di terra, a non guardare sempre a se stesso ma ai grandi campi del mondo. Traccia un solco e nient'altro, forse perfino poco profondo, forse poco diritto, ma sa che poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.
Quando le regole oscurano la legge di Dio
La straordinaria intelligenza comunicativa di Gesù: svela il cuore profondo inventandosi una storia semplice, che tutti possono capire, i professori come i bambini! Le parabole sono racconti che provengono dalla viva voce di Gesù, è come ascoltare il mormorio della sorgente, il momento iniziale, fresco, sorgivo del vangelo. Rappresentano la punta più alta e geniale, la più rifinita del suo linguaggio, non l'eccezione. Per lui parlare in parabole era la norma (Mc 4,33-34). Insegnava non per concetti, ma per immagini e racconti, che liberano e non costringono. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Una delle storie più belle al mondo. Un uomo scendeva, e guai se ci fosse un aggettivo: giudeo o samaritano, giusto o ingiusto, ricco o povero, può essere perfino un disonesto, un brigante anche lui: è l'uomo, ogni uomo! Non sappiamo il suo nome, ma sappiamo il suo dolore: ferito, colpito, terrore e sangue, faccia a terra, da solo non ce la fa. È l'uomo, è un oceano di uomini, di poveri derubati, umiliati, bombardati, naufraghi in mare, sacche di umanità insanguinata per ogni continente. Il mondo intero scende da Gerusalemme a Gerico, sempre. Il sacerdote e il levita, i primi che passano, hanno davanti un dilemma: trasgredire la legge dell'ama il prossimo, oppure quella del sii puro, evitando il contatto col sangue. Scelgono la cosa più comoda e più facile: non toccare, non intervenire, aggirare l'uomo, e... restare puri. Esternamente, almeno. Mentre dentro il cuore si ammala. Toccano le cose di Dio nel tempio, e non toccano la creatura di Dio sulla strada. La loro è solo religione di facciata e non fede che accende la vita e le mani. Il messaggio è forte: gesti e oggetti religiosi, riti e regole “sacri” possono oscurare la legge di Dio, fingere la fede che non c'è, e usarla a piacimento. Può succedere anche a me, se baratto l'anima del vangelo, il suo fuoco, con piccole norme o gesti furbi. Chi fa emergere l'anima profonda, è un eretico, uno straniero, un samaritano in viaggio: lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino. Sono termini di una carica infinita, bellissima, che grondano umanità. La compassione vale più delle regole cultuali o liturgiche (del sacerdote e del levita); più di quelle dottrinali (il samaritano è un eretico); surclassa le leggi etniche (è uno straniero); ignora le distinzioni moralistiche: soccorro chi se lo merita, gli altri no. La divina compassione è così: incondizionata, asimmetrica, unilaterale. Al centro del Vangelo, una parabola; al centro della parabola, un uomo. E il sogno di un mondo nuovo che distende le sue ali ai primi tre gesti del buon samaritano: lo vide, ebbe compassione, si fece vicino.
Festa del corpus domini
La festa venne istituita nel 1246 in Belgio grazie alla visione mistica di una suora di Liegi, la beata Giuliana di Retìne. Poi, due anni dopo, papa Urbano IV la estese a tutta la cristianità dopo il miracolo eucaristico di Bolsena nel quale dall'ostia uscirono alcune gocce di sangue per testimoniare della reale presenza del Corpo di Cristo. Si festeggia il giovedì dopo la festa della Ss. Trinità anche se in alcuni Paesi come l'Italia è stata spostata alla domenica successiva.