CONCERTO DI MUSICA BAROCCA
Musica per flauto dolce e organo
Venerdì 26 gennaio 2024 Ore 20.30 Chiesa Parrocchiale di Vallà di Riese Pio X
Musiche di D. Castello, H. Purcell, G. Muffat
Interpreti: Thomas Gelain - organo
Cassandra Sozzo - flauto dolce barocco
Rachele Stocco - flauto dolce barocco
Arrigo Pietrobon - flauto dolce barocco
Ingresso libero
In quel «cosa cercate?» la pedagogia del Signore
Le prime parole del Gesù storico sono una domanda. È la pedagogia di quel giovane rabbi, che sembra quasi dimenticare se stesso per mettere in primo piano i due che lo seguono, le loro attese, le loro domande: prima venite voi, dopo io. Amore vero mette sempre il tu prima dell’io. Le prime parole del Gesù storico e le prime del Cristo risorto sono la stessa domanda raddoppiata (che cercate? donna chi cerchi?) e rivelano che il Maestro dell’esistenza non vuole imporsi, non gli interessa stupire, abbagliare, indottrinare, ma la sua passione è farsi vicino, mettersi a fianco, ascoltare, rallentare il passo, l’arte dell’accompagnamento. Che cosa cercate? Con questa domanda Gesù non si rivolge all’intelligenza, alle emozioni, alla volontà dei due, ma va più a fondo; non interroga la teologia di Maddalena, ma scende nella sua nuda umanità. E formula un interrogativo al quale tutti sono in grado di rispondere, i colti e gli ignoranti, i laici e i religiosi, i giusti e i peccatori. Gesù, il Maestro del cuore, pone le domande del cuore, quelle che fanno vivere: si rivolge subito al desiderio profondo, al tessuto sorgivo dell’essere. Che cosa cercate? Significa: qual è il vostro desiderio più forte? Che cosa desiderate più di tutto dalla vita? Gesù, che è il vero Maestro ed esegeta del desiderio, ci insegna a non consultarci con le nostre paure, ma con i nostri desideri, progetti e speranze. Libera il futuro e fame di cielo, salva l’importanza del desiderio, motore della vita, dalla depressione, dal rattrappirsi, dall’essere banale. Con questa semplice domanda: che cosa cercate? Gesù fa capire che la nostra identità specifica è di essere creature di ricerca e di desiderio. Perché a tutti manca qualcosa: infatti la ricerca nasce da una assenza, da un vuoto che chiede di essere colmato. E la domanda diventa: che cosa mi manca? Quale vuoto mi morde? Gesù non chiede, ai due ragazzi che lo seguono, per prima cosa sacrifici, rinunce o penitenze; non impone di immolarsi sull’altare del dovere o dello sforzo. Chiede la cosa più importante: di rientrare nel cuore, di comprenderlo, di conoscere che cosa desiderano di più, che cosa li fa felici, che cosa si muove nel loro spazio vitale, cosa li muove. Di ascoltare il cuore, di abbracciarlo: “accosta le labbra alla sorgente del cuore e bevi” (San Bernardo). I Padri definiscono, questo primo passo della vita spirituale, il ritorno al cuore: “trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno” (Giovanni Crisostomo). Che cosa cercate? Per chi camminate? Io ormai lo so: cammino per Uno che fa felice il cuore.
ASSOCIAZIONE INCONTRO MATRIMONIALE
Incontro Matrimoniale è la proposta italiana di World Wide Marriage Encounter (WWME), una associazione che promuove nel mondo, attraverso un week end, un metodo per migliorare il dialogo in coppia, e, per i sacerdoti e religiosi/e per confrontarsi con la propria Comunità di riferimento. Le prime intuizioni sul metodo nascono nel 1961 a Barcellona (Spagna), grazie a padre Gabriel Calvo che, nel 1967, negli Stati Uniti, incontra padre Chuck Gallagher il quale, sulle basi di quel metodo, fonderà il WWME. Nel 1977 il movimento rimbalza in Europa e nel 1978 approda in Italia, dove si affermerà con il nome di Incontro Matrimoniale. Durante il week end viene presentato un metodo di comunicazione tanto semplice quanto profondo ed efficace.
L’esperienza nasce in ambito cattolico, ma è aperta a tutti coloro che – di qualsiasi età, credo e cultura – desiderano migliorare la propria capacità di comunicare e di vivere la relazione di coppia e la relazione con gli altri. I partecipanti ai Week End sono invitati a riflettere sulle proprie esperienze di relazione, stimolati dalle testimonianze di vita concreta presentate da un team di animatori. Dalle iniziali esperienze con le coppie di sposi e con i sacerdoti, la proposta è stata estesa alle coppie di Fidanzati, alle Famiglie, ai Giovani, ai meno Giovani ed alle persone adulte Single, con il medesimo scopo di migliorare la comunicazione interpersonale. WWME, diffuso in tutti i continenti, è oggi presente in OLTRE 90 PAESI. Lo statuto di Incontro Matrimoniale è stato approvato dalla CEI – Conferenza Episcopale Italiana – nel 2009, e dal 2018 l’associazione è stata ammessa alla Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali.
NUOVA CHIAMATA
L’associazione ha chiesto a don Daniele Vettor di diventare responsabile regionale Triveneto Ovest insieme ad una coppia di sposi Didonè Lorenzo e Paola abitanti a Quinto Vicentino. In questi giorni il Vescovo Michele Tomasi ha dato il suo permesso a questo nuovo incarico. Naturalmente don Daniele rimarrà parroco di Poggiana e Vallà, anche se con qualche impegno in più verso l’associazione e con qualche assenza dalla parrocchia durante l’anno. Ai parrocchiani si chiede comprensione per l’eventuale disagio. Il servizio svolto a coppie di sposi di un territorio più vasto insieme all’associazione Incontro Matrimoniale porterà sicuramente beneficio anche alle nostre parrocchie e in modo particolare agli sposi che desidereranno usufruire di tale esperienza. A tutti il parroco chiede un particolare ricordo nella preghiera per questo delicato incarico.
Il Battesimo, l’immergersi in un oceano di amore
Tramonto a Patmos, l’isola dell’Apocalisse. Stavamo seduti davanti al fondale magico delle isole dell’Egeo, in contemplazione silenziosa del sole che calava nel mare, un monaco sapiente e io. Il monaco ruppe il silenzio e mi disse: lo sai che i padri antichi chiamavano questo mare «il battistero del sole»? Ogni sera il sole scende, si immerge nel grande bacile del mare come in un rito battesimale; poi il mattino riemerge dalle stesse acque, come un bambino che nasce, come un battezzato che esce. Indimenticabile per me quella parabola che dipingeva il significato del verbo battezzare: immergere, sommergere. Io sommerso in Dio e Dio immerso in me; io nella sua vita, Lui nella mia vita. Siamo intrisi di Dio, dentro Dio come dentro l’aria che respiriamo, dentro la luce che bacia gli occhi; immersi in una sorgente che non verrà mai meno, avvolti da una forza di genesi che è Dio. E questo è accaduto non solo nel rito di quel giorno lontano, con le poche gocce d’acqua, ma accade ogni giorno nel nostro battesimo esistenziale, perenne, in-finito: «siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). La scena del battesimo di Gesù al Giordano ha come centro ciò che accade subito dopo: il cielo si apre, si fessura, si strappa sotto l’urgenza di Dio e l’impazienza di Adamo. Quel cielo che non è vuoto né muto. Ne escono parole supreme, tra le più alte che potrai mai ascoltare su di te: tu sei mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento. Parole che ardono e bruciano: figlio, amore, gioia. Che spiegano tutto il vangelo. Figlio, forse la parola più potente del vocabolario umano, che fa compiere miracoli al cuore. Amato, senza merito, senza se e senza ma. E leggermi nella tenerezza dei suoi occhi, nella eccedenza delle sue parole. Gioia, e puoi intuire l’esultanza dei cieli, un Dio esperto in feste per ogni figlio che vive, che cerca, che parte, che torna. Nella prima lettura Isaia offre una delle pagine più consolanti di tutta la Bibbia: non griderà, non spezzerà il bastone incrinato, non spegnerà lo stoppino dalla fiamma smorta. Non griderà, perché se la voce di Dio suona aspra o impositiva o stridula, non è la sua voce. Alla verità basta un sussurro. Non spezzerà: non finirà di rompere ciò che è sul punto di spezzarsi; la sua mania è prendersi cura, fasciando ogni ferita con bende di luce. Non spegnerà lo stoppino fumigante, a lui basta un po’ di fumo, lo circonda di attenzioni, lo lavora, fino a che ne fa sgorgare di nuovo la fiamma. “La vita xe fiama” (B. Marin) e Dio non la castiga quando è smorta, ma la custodisce e la protegge fra le sue mani di artista della luce e del fuoco.
Auguri di Natale
Quest’anno il Natale arriva nelle nostre parrocchie e nella nostra Diocesi di Treviso assieme a dei tragici eventi: La morte cruenta di Vanessa Ballan e la morte improvvisa di don Edy Savietto. Dentro a questi due drammi inspiegabili desideriamo che il Natale del Signore porti consolazione, pace al cuore e speranza per il futuro. Desideriamo anche che questi fatti, per quanto dolorosi, ci spingano a vivere la vita come una bella opportunità per essere aperti al dialogo, solidali verso i poveri, capaci di gesti di grande amore. Non lasciamo che il male, la sofferenza e il dolore ci strappino via la gioia del Natale, l’entusiasmo nello spenderci per la Buona Novella che Cristo è in mezzo a noi e non ci abbandona mai. A tutti l’augurio di un sereno Natale in famiglia fatto di condivisione degli affetti e dei sentimenti, di grande riflessione sull’accaduto e di buoni propositi per l’avvenire. Proviamo a porre un segno forte di ri -partenza, annunciando l’importanza del rispetto della diversità tra uomo e donna e la fecondità a tutto tondo della relazione. Solo educando le giovani generazioni a questo rispetto attraverso la buona testimonianza potremo sanare le profonde ferite che da troppo tempo si sono aperte nei nostri cuori. Basta indifferenza di fronte al male! Combattiamo con l’amore cristiano per riportare la pace a tutti i livelli di vita. A chiedercelo oggi con tenerezza è proprio quel bambino che giace nella mangiatoia. Ascoltiamolo!
La Vergine e l’amore di Dio che ci precede
L’angelo Gabriele vola via dal tempio, dall’anziano sacerdote senza parola, verso una giovane laica, dalla Città Santa a un villaggio senza storia, da un maschio a una donna, dall’unico tempio a una casa come tante, dove «arde in appartata fiamma la vita» (L. Borges) che diventa finestra di cielo. Così inizia il Vangelo: Dio esce dai recinti del sacro e si immerge nella normalità della vita; non fra incensi e candelabri, ma pentole e telai. L’angelo migratore parla in modo chiaro e nuovo. Gioia è la prima parola, Xaire, rallegrati, gioisci, sii felice Maria, apriti alla gioia come una porta al sole. Non le ordina: inginocchiati, obbedisci, prega, vai al tempio. Gabriele brucia le distanze tra Dio e l’umano: tra i due poli scocca la prima scintilla, quella di ogni “in principio”, quella della felicità. Che sarà anche il primo tema del Maestro nella sua prima lezione sul monte (Mt 5). Dio è legittimato a proporsi all’uomo perché sa parlare il linguaggio della gioia. Nella seconda parola, il perché della gioia: sei piena di grazia, riempita, intrisa di Dio. La grazia di Dio è la vita stessa di Dio, il suo amore. Dio è innamorato di te, Maria, il tuo nome è “amata per sempre”, senza rimpianti, teneramente amata. Dio ha detto sì a Maria prima ancora che Maria dicesse sì a Dio, prima di ogni sua risposta. E questo è anche il nostro nome: come lei, tutti amati per sempre, di amore asimmetrico, unilaterale, incondizionato. Per come siamo, per quello che siamo. Il Signore è con te. Quando nella Bibbia Dio dice a qualcuno “Io sono con te” gli sta offrendo un futuro bello e arduo (R. Virgili), un compito alto e difficile: tuo figlio sarà figlio di Dio. Maria è sbalordita: come è possibile? Questo angelo dice eresie. Dio è uno, non ha figli. Ma nel Vangelo gli angeli vengono proprio per dire questo: che l’impossibile è diventato possibile. Non aver paura Maria, se l’infinito si nasconde in un pugno di carne, in una perla di sangue nel tuo grembo. Non aver paura delle nuove, sconosciute vie di Dio che diventa bambino, vagito, fame di latte, occhi spalancati, mano piccola che si protende. Non temere questo Dio bambino, che vivrà perché tu lo amerai. Lo nutrirai di latte, di carezze, di sogni. E lo farai felice. Ragazza pratica, concreta, Maria vuole sapere: come è possibile, non conosco uomo? Sarai umile tenda mossa solo dal vento dello Spirito. E Maria con gioia, con slancio, si butta sulle vie di Dio: eccomi, io ci sono, ci metto la mia fede, il mio corpo, il mio futuro, la mia femminilità, tutto. Oggi quell’annunciazione continua: anche intorno alla tua casa volteggiano angeli, e un Dio sempre in cerca di madri.
Giovanni, l’uomo mandato da Dio
Venne Giovanni, mandato da Dio, per rendere testimonianza alla luce. Il profeta del Giordano è il testimone che la pietra angolare su cui si fonda la storia di Dio non è il peccato ma la luce, non il male ma la grazia. Ad ogni credente è affidata la stessa profezia: avere occhi così limpidi da vedere Dio dovunque, sandali da pellegrino e cuore di luce; essere anche noi rabdomanti del buono e del bello seminato anche nei nostri deserti. In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete, è così vicino da poterci inciampare: “cercatore verace di Dio / è solo chi inciampa / su di una stella.... e, tentando strade nuove,/ si smarrisce nel pulviscolo / magico del deserto" (D. M. Montagna). Sacerdoti e leviti sono scesi da Gerusalemme, una commissione d’inchiesta istituzionale e clericale, scesa non per capire ma per affermare il loro potere e ribadire il primato del sacerdozio su quel libero profeta, non allineato, senza autorizzazione. Giovanni era, per nascita, un levita, apparteneva a quella casta sacerdotale maschile, ereditaria e autoreferenziale, che era di suo padre Zaccaria. Sacerdoti si nasceva, si era tali di generazione in generazione. Ma Giovanni, il figlio del miracolo, ha abbandonato il tempio e rinnegato il sacerdozio, diventati il silenzio di Dio, e aveva scelto di essere voce. Tu chi credi di essere? Elia? Il profeta che tutti aspettano? Lo affrontano con sei domande sempre più incalzanti. Ad esse Giovanni risponde “no”, per tre volte, con risposte sempre più brevi; e anziché affermare “io sono” , preferisce dire “io non sono”, svestendosi di proiezioni e attese prestigiose, che forse sono perfino pronti a riconoscergli, se.... Risponde non per addizione di titoli, ma per sottrazione, indicandoci il cammino verso l’essenziale: non si è profeti per accumulo, ma per spoliazione. Davanti al sole, come davanti a Dio, non c’è nulla di meglio che essere nulla, aria, pura trasparenza. Io sono solo voce, parlo parole non mie, che vengono da prima di me, che vanno oltre me. “Giovanni venne per dare testimonianza alla luce”. Il profeta roccioso e selvatico, l’uomo della sabbia e delle acque, è il testimone del sole. Come Isaia testimonia che la terra non è orfana di Dio, che in qualche parte del mondo, già ora, il lupo e l’agnello pascolano insieme; testimonia che Dio viene, guaritore delle vite, cercatore di prigionieri da rimettere nel sole. “Venne un uomo mandato da Dio” è detto per Giovanni e per me; ognuno è uomo mandato, sillaba pronunciata da Dio chiamandoci all’esistenza, unica e che non ripeterà mai più. Ognuno testimone che Dio c’è, è qui, ed ha un cuore di luce. E il tuo cuore ti dirà che anche tu sei fatto per la luce.
Campo scuola invernale per giovanissimi
Dal 3 al 5 gennaio ci sarà il campo invernale per i giovanissimi (dalla prima alla quinta superiore) delle 4 parrocchie di Riese Pio X. Le iscrizione termineranno domenica 17 dicembre, per info 3457192804.
È il Battista che sussurra al mio cuore che Dio viene
Due profeti, due voci narranti un Dio camminatore dei secoli, viaggiatore dell’anima, orma sulla sabbia, piede che si ferma alla tua porta (cf. Ap 3,20), fremito nel grembo di Maria ( Lc 1,41), passione nella voce di Giovanni, miele nella voce di Isaia: «viene il tuo Dio». Due testimoni, che usano lo stesso verbo, al presente, semplice, diretto, sicuro: “viene”. Non probabilmente, non simbolicamente, non apparentemente, ma “veramente” Dio viene. Non parlano di un domani: “ecco, sta per venire, verrà tra poco”, e ci sarebbe bastato. Ma giorno per giorno, instancabilmente, continuamente Dio viene. L’Infinito prende corpo perché la nostra vita prenda corpo. Come seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi, Dio viene, e ogni strada del mondo è Galilea. È bello immaginare il creato come un reticolo, un calpestio di orme di Dio. Alzate il capo, guardate in alto e lontano, perché la vostra liberazione è vicina. Uomini e donne in piedi, eretti, occhi alti e liberi: così vede i discepoli il profeta Isaia, come veggenti dalla vita verticale e dallo sguardo profondo. Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è “il forte” perché ha il coraggio di non prendere niente e di dare tutto. Di innalzare speranze così forti che neppure la morte di croce ha potuto far appassire, anzi ha rafforzato. È “il più forte” perché è l’unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere “più forti”, a fare come Isaia e Giovanni: a essere voce che grida e poi sussurra al cuore che Dio viene. Ci chiama tutti a gridare, a dire con passione, quella che è la nostra passione per Cristo e per l’uomo, inscindibilmente. Il vivere appassionato è ciò che rende forte la vita. E poi ci invita a semplicemente sussurrare il vangelo al cuore della terra, testimoni della luce, rabdomanti del buono sepolto. Inizio di una notizia buona. Il nostro è il Dio degli inizi, il Dio creativo che avvia processi, intraprende percorsi, innamorato di orizzonti e non di recinti, che ci porta a pienezza e poi a sconfinamento; un Liberatore, esperto di nascite, che viene, è qui, si è radicato, si arrampica in noi come un germoglio, «un fiore di luce nel nostro deserto» (Turoldo). «Inizio del vangelo di Gesù», che è Gesù, la buona notizia è lui, i suoi occhi che guariscono quando accarezzano, e la sua voce che atterra i demoni tanto è forte, e che incanta i bambini tanto è dolce; il guaritore del disamore del mondo, il seduttore dietro cui ho perso il cuore, che fa ripartire la vita ogni volta si è ferma, fino a che inciampi in una stella.
Avvento, tempo di un Dio che si fida
Se tu squarciassi i cieli e discendessi! (Isaia 63,19). Il profeta apre l’avvento come un maestro dell’attesa: i cieli sono un grembo che sta per partorire vita più grande. Noi siamo argilla nelle tue mani. Tu sei colui che ci dà forma (Isaia 64,7). Siamo argilla che il Vasaio non butta via mai, e se questo vaso riesce male, o qualche volta si rompe, ci prende di nuovo in mano, ci mette ancora su quel suo tornio, che ruota sempre come una mistica danza di creazione. Illogica e magnifica fiducia in noi, che siamo i vasi rotti di Dio. Fiducia che ho tante volte tradito, ogni volta rinata. Il profeta è testimone ancora una volta che è sempre possibile rinascere, è sempre possibile il passaggio da «terra ferita» a «terra guarita». La voce di Isaia grida il desiderio del cosmo: tutto nell’universo attende, attendono anche le pietre, anche il grano attende un Dio che ha sempre da nascere. Un germe divino attende la sua risurrezione nel cuore umano (Giovanni Vannucci).Avvento è un tempo di incamminati: tutto si fa più vicino, Dio in esodo verso di noi, io che mi accodo a questa carovana di nomadi cercatori di stelle, la terra che si fa prossima e cerca pace. Pace in terra, canteranno gli angeli, affascinando la notte di Betlemme. E sappiamo, sempre più e sempre meglio, che significa far pace con madre terra, depredata, devastata, avvelenata, che però come una madre bella ci prende fra le sue braccia. L’ingresso del Vangelo di Marco, in questa prima domenica d’avvento, racconta di una notte, e ne stende l’elenco faticoso delle tappe: “non sapete quando arriverà, se alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino”. Una sola cosa però è certa: arriverà. Ma intanto Isaia lotta, a nome nostro, contro il ritardo di Dio: «ritorna per amore dei tuoi servi!» Il padrone è partito e ha lasciato tutto in mano ai suoi servi, a ciascuno il suo compito. Una costante di molte parabole, in cui Gesù racconta il volto di un Dio che si fida, mette il mondo nelle nostre mani, affida le sue creature all’intelligenza fedele e alla combattiva tenerezza dell’uomo. Un rischio grande preme su di noi. Un poeta lo esprime così: «io vivere vorrei/ addormentato/ entro il dolce rumore della vita» (Sandro Penna). La tentazione è di non vivere, ma solo di sopravvivere, in un ottundimento dei sensi, una sedazione dei desideri, per troppa sazietà. Il nostro mondo vive una triplice crisi, della fiducia, del futuro e del generare. Ma proprio qui e ora Avvento viene a ricordare che nascerà un figlio, che il futuro è assicurato, che il cielo non è chiuso sopra di noi, ma si apre. Dio prende corpo, affinché la nostra speranza prenda corpo; si fida di questa terra ferita perché diventi terra incinta di Dio.
Cena del Baccalà 25 novembre Vallà
Sabato 25 novembre presso i locali della bocciofila di Vallà
Ore 20.00, anche per asporto.
Info nella sezione Foglietti parrocchiali
La parabola dei talenti “scossa” al nostro Io
La parabola dei talenti mette in scena la sfida tra il patrimonio economico e il patrimonio relazionale, il molto denaro di un ricco signore e il suo grande progetto sui servitori: affida loro il suo tesoro e parte. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia. Anziché tenere per sé, il padrone rilancia: «bene, servo buono, ti darò potere su molto». E senti l’eco del profeta: così per te gioirà il tuo Dio (Is 62,5). Felice di ciò che vede, non solo dona ai servi l’investimento e il guadagno, ma aggiunge un di più: «entra nella gioia del tuo signore». Signore e servi sono entrati in sintonia di vita, nell’esperienza che «il Regno viene con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci). I primi due hanno capito e osato, il terzo ha avuto paura e ha seppellito la sua vita: so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato, raccogli dove non hai sparso... ho avuto paura. Ecco qui ciò che è tuo. Non l’ha mai considerato suo, quel talento. «Ho avuto paura». La madre di tutte le paure è la paura di Dio. Il terzo servo ha una immagine di Dio triste, predatoria, che sa di morte. Lo sente duro, nemico e ingiusto. E chi non avrebbe paura di un Dio così? Tutta la parabola invece disegna una immagine opposta di Dio, che non è il mietitore severo di quanto ha seminato, ma lascia gioiosamente tutto il buon grano alla tua tavola, anzi lo raddoppia ancora (datelo a chi ha già dieci talenti). Non siamo al mondo per fare i conti con Dio, ma per condividere tesori di bontà, di gioia, di bellezza, di legami. Verso il servo che non è stato capace, la reazione ci sembra sproporzionata. Ma Gesù usa un linguaggio apocalittico, paradossale, per dire che un’immagine sbagliata di Dio può provocare disastri, può farci davvero fallire la vita. Ed è ciò che dobbiamo temere. La Evangelii Gaudium 49 ha una offerta di solare creatività quando ci esorta ad aver più paura di restare immobili e spenti che non di sbagliare. A noi, formati nell’idea che il peggio è sbagliare, dentro lo schema delitto/castigo, questo vangelo ricorda che il peggio che ci può capitare è di rimanere immobili, seppelliti, sterili, dei falliti, se dopo di noi, dietro di noi non lasciamo più vita. Il mondo è una realtà germinante, e lo è ogni creatura, e noi siamo al mondo «per la fioritura dell’essere» (Romano Guardini), per fare avanzare, anche solo di un piccolo passo, il bene, i talenti buoni, la storia della gioia. C’è una vita che preme alle nostre frontiere, non un tribunale. Allora a chi ha sarà dato. Dio regala vita a chi produce amore. Dio è la primavera instancabile del cosmo, il nostro compito è diventarne l’estate profumata di frutti.
Gesù ricorda: il più grande è colui che serve
La Parola di Dio mi mette con le spalle al muro: sono anch’io, come scriba o fariseo, uno che dice ma non fa? Cristiano di sostanza oppure di facciata? Una “domanda del cuore”, di quelle che fanno vivere: sono uno falso che non è ciò che dice e non dice ciò che è, oppure persona vera, compiuta, in cui annuncio e annunciatore coincidono? Ci sono colpi duri, oggi, nelle parole di Gesù; ma ogni volta che ciò accade lo scopo non è ferire, ma spezzare la conchiglia affinché appaia la perla. La conchiglia non è la fragilità, ma l’ipocrisia. Nel Vangelo Gesù non sopporta due categorie di persone: gli ipocriti e quelli dal cuore duro, due tipi umani che spesso si identificano. Legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito, Ipocrita è il moralista che impone leggi rigide, ma solo agli altri, e più è severo con loro più si sente vicino a Dio! Gesù è rigoroso, ma mai rigido. Paolo oggi nella seconda lettura: «Avrei voluto darvi la mia vita» (1Ts 2,8). L’ipocrita invece dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». Sono funzionari delle regole e analfabeti del cuore. E perfino analfabeti di Dio. Cioè, nel loro intimo, sono strutturalmente atei. Ipocrita è termine greco che significa attore, il teatrante che recita una parte e indossa una maschera: tutte le opere le fanno per essere ammirati dalla gente, si compiacciono dei primi posti, dei saluti sulle piazze, degli applausi... Ma il cuore è assente, il cuore è altrove. Fanno finta: sono personaggi e non più persone. E questa è la peggior sventura che possa capitare, la dissociazione dell’anima, lo sdoppiamento della persona, quando ami ciò che va dalla pelle in fuori (l’apparenza e il superfluo) e non ti curi di ciò che va dalla pelle in dentro (la sostanza e l’essenziale). Sono così rare le persone autentiche, tutte d’un pezzo, quelle che sono se stesse in pubblico come in privato, senza maschere. Quando ne incontriamo una, non lasciamola andare via senza aver tentato di farcela amica. È tra quelli che aprono una fessura sulla verità, una feritoia su Dio. Gesù poi evidenzia un altro errore che sgretola e avvelena dal di dentro la vita: l’amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, o dottore, o padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. Ma noi siamo sempre impreparati ad essere fratelli e sorelle. La fraternità ha fatto naufragio nella storia umana, è trauma e sogno, sempre ferita, sempre minacciata, sempre a rischio. Eppure disegna un mondo buono che si regge su legami d’affetto gioioso, dove il più grande è colui che serve. Perché un mondo fondato sul concetto di potere e di nemico, non è una civiltà, ma una barbarie.